Perchè morire di tifo. Una ricerca di data-journalism nel libro di Giudice


Iniziai ad occuparmi del problema “violenza negli stadi” il 28 ottobre 1979, cioè, quando durante un Derby Capitolino, morì Vincenzo Paparelli, tifoso della Lazio, accecato da un razzo sparato da un Ultrà della Roma (e la foto in bianconero immortala il Consiglio Direttivo dell’Inter Club Napoli “dal Vesuvio con Amore” alla Mostra contro la “violenza negli stadi” organizzata al Maschio Angioino di Napoli).

Un problema che molti scoprirono solo allora, ma coloro che frequentavano gli stadi in quel periodo erano perfettamente al corrente di una situazione talmente deteriorata dall’inciviltà, dall’asocialità, dal permissivismo da essere sempre sul punto di degenerare in qualcosa di estremamente grave.
Dopo Paparelli sono morti, a causa della violenza, Stefano Vezzani, Andrea Vitone, Stefano Furlan, Marco Fonghessi, Giuseppe Tomasetti, Nazzareno Filippini, Antonio de Falchi, Salvatore Moschella, Vincenzo Spagnolo, Fabio di Maio, Simone Vitale, Ciro Lioi, Carmine Alfieri, Giuseppe Diodato, Antonino Currò, Ermanno Licersi, Filippo Raciti, Gabriele Sandri, Ciro Esposito e sicuramente ho dimenticato qualcuno, riportato nell’interessante libro di Simonpietro Giudice.

Questo per dire come lo Stato Italiano ha affrontato (e mai risolto!) il tema della “violenza negli stadi”…
La morte negli stadi è entrata per scelta consapevole di tutti coloro che partecipano al gioco, non di nascosto, accidentalmente.
Morti assurde, violenti, ingiustificabili; morti che dovrebbero lasciare veramente sbigottiti ed attoniti.
Avvenimenti che hanno fatto parlare molto e, forse, non sempre con chiarezza: politici, psicologi, sociologi, giornalisti in cerca di facile pubblicità hanno fatto a gara fra loro per esternare sentimenti quasi sempre “camaleonteschi”…
Molti di loro hanno continuato, pericolosamente, a giocare con il fuoco di un tifo spacciato per sport, trovando così, per anni e anni, una sicura valvola di sfogo per il “sistema”.
Il tifo non è più il “carnevale della domenica pomeriggio” di un tempo andato…
Negli stadi di tutt’Italia, dopo le prime emotive disposizioni delle Forze dell’Ordine, sono ricomparsi gli striscioni delle organizzazioni dai nomi eclatanti. Come se nulla fosse successo prima…
Gli Ultrà si sono impossessati degli stadi con la complicità di denunce e pene non abbastanza severe e decise, cosicché hanno potuto impunemente imporre la loro legge violenta. Nulla è stato fatto per fermarli!

Eppure gli hoolingans inglesi sono solo un brutto ricordo…
Controllo sulla vendita dei biglietti, proibizione di vendita di alcolici nei locali vicini agli stadi, sorveglianza su treni e autobus, multe salatissime, fermi preventivi, arresti, separazione a distanza dei gruppi rivali e finanche il carcere: questo è ciò che ha fatto la democratica Inghilterra.
Ho sempre affermato che le Associazioni dei tifosi non ultrà dovevano opporre alla visione del tifo prospettataci da questi squallidi teppisti, degradanti individui paragonabili a “morti viventi”, la certezza più radicata che la violenza è l’antitesi dello sport: lo sport è vita, la violenza è morte!

Oggi, più che mai, compito degli Sportivi e dei tifosi è quello di potenziare la propria vocazione di “Operatori di Pace”, appunto perché Sportivi e/o tifosi; un impegno al quale i tormentati attuali tempi ci chiamano dovunque, soprattutto attraverso l’Associazionismo Sportivo Democratico che per sua natura vince ogni forma di totale indifferenza, di esasperato individualismo, di pura asocialità.
D’altra parte se nella vita ci si fa largo sulle spalle degli altri, se il valore cui tutti si rifanno è il “mors tua, vita mea”, è chiaro che si è portati a pensare che solo con la violenza ci si possa far giustizia dei torti subiti.
Certo, è strano, in un tempo dove la violenza spadroneggia sempre di più, parlare di Pace, di non violenza…

Violenza sono gli insulti, gli sputi, le bestemmie, le scritte deliranti sugli striscioni e sui muri, gli sfondamenti ai cancelli, l’abbigliamento da guerrigliero con cui si va ad assistere alla partita.
Violenza sono certi atteggiamenti irresponsabili dei protagonisti, i falli di gioco inutili, le sceneggiate prima dei calci di rigore, certi atteggiamenti plateali di qualche arbitro, la furberia gratuita di qualche giocatore.
Violenza sono le parole infuocate di certa stampa faziosa e meschina, gli atteggiamenti ironici di psicologi e sociologi “snob”, certe notizie non vere che infiammano gli umori dei tifosi.
Violenza sono i biglietti popolari a 50 €.
Violenza sono le “partite truccate”.
Violenza è la presenza nelle trasmissioni televisive di Luciano Moggi, radiato dalla FIGC.
Il Calcio non è violenza ma è urla, bandiere sventolanti, cori, mani protese al cielo, pianti di gioia, clacson, sirene urlanti, lanci di coriandoli, di stelle filanti, di carta, trombe a dare la carica.
Ed ancora: conoscenze personali e di gruppo, scambio di idee e di esperienze, crescita culturale.
Tutto il resto è cronaca nera.
Il libro è una ricerca di data-journalism realizzata per ricostruire e presentare un quadro quanto più completo possibile sulle tragedie legate al mondo del calcio.
Turro nasce da una domanda che si pone l’Autore: si può morire di tifo calcistico? Può il tifo essere considerato alla stregua di una malattia?
Le 288 pagine analizzano il fenomeno del tifo violento fin dalle sue origini, partendo dall’antica Grecia e passando per la nascita del supporter rude per eccellenza, l’hooligan, esaminato e messo a confronto con l’ultrà italiano, i suoi modelli, gli stili e la “kultura”.
Giudice parla di rivalità e gemellaggi, di politica nel tifo europeo, di tifo e fede, di calcio nella Città del Vaticano, di tessera del tifoso, di calcio spezzatino e televisione, riportando anche delle affermazioni sul tema di molte persone, del ramo e non.
In definitiva: un corposo libro che si legge con interesse.

SIMONPIETRO GIUDICE
“MORTI DI TIFO”
(L’epidemia calcistica)
Edizioni Eraclea
Novembre 2020
€ 15,00

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