EDITORIALE – La differenza tra un tifoso italiano dell’Inter e uno libico?

di Monder Ismail

Volete sapere qual è la differenza tra un tifoso italiano dell’Inter e uno libico? Nessuna. Anche nel mio paese il calcio è una passione popolare. Anche noi siamo un popolo di commissari tecnici.

La panchina è sempre stata una delle principali sfide per il nostro club. E noi tifosi, più d’una volta, ci siamo lasciati trascinare dal pensiero dei media piuttosto che dalla realtà dei fatti. Ci sta. Ricordate quando tutti gli avversari ci prendevano in giro per il cambio di allenatori in panchina? In effetti, nel passato, qualcosa non è andato per il verso giusto. Sono un matematico. Lasciatemi dare i numeri. Nel periodo compreso tra il 1994 e il 2020, sulla panchina dell’Inter si sono alternati 23 allenatori diversi. Un quasi record che condividiamo con il Palermo dell’era Zamparini. Peggio di noi aveva fatto soltanto il Cagliari, che di coach, in quello stesso arco temporale, ne ha cambiati 25.

Inutile dire che un grande club come il nostro ha bisogno di continuità. Concetto che non sempre si concilia con la necessità fisiologica del nostro Dna: vincere. Eppure mi sento di poter dire che quella parentesi anche angosciante è già finita da un pezzo. Da tifoso, con le ragioni del cuore dunque, potrei persino stabilire una data precisa: il 2 giugno 2008. Quel giorno José Mário dos Santos Mourinho Félix firma con la nostra società il suo contratto da allenatore. Saranno i due fantastici anni di Mourinho alla guida dell’Inter. E’ l’uomo del triplete. Ma non solo. Sul piano tattico Mourinho è sempre stato capace di adattarsi al materiale umano.

Senza legarsi agli schemi in maniera ossessiva, Mourinho ha sempre puntato su grande fisicità, una fase difensiva molto solida e modelli di attacco che si sviluppano sulle fasce laterali. Ha sfruttato in particolare le sovrapposizioni dei terzini e la loro propensione al cross. Così, in fondo, ci ha portato sul tetto del mondo. Con la Champions di nuovo nostra dopo 45 anni. Ma Mourinho ha fatto di più. Ha letteralmente trasformato il Dna della nostra squadra, ci ha reso sicuri, ci ha difeso, sui campi, sui media e nelle conferenze stampa.

Un manager a tutto tondo che ha incarnato lo spirito dell’Inter. Chi non lo ha amato quando per contestare l’arbitraggio – durante Sampdoria/Inter – ha fatto il gesto provocatorio delle manette? Era il 20 febbraio del 2010. E il ricordo è per me indelebile. Oggi sulla nostra panchina siede Mister Antonio Conte. Confesso, non è stata una scelta facile da digerire. Il suo passato da bianconero sembrava troppo denso per restare un fatto casuale. Eppure, dobbiamo avere l’onestà di ammettere che oggi Conte ha quel quid in più che rende la squadra più competitiva e vorace.

Pratica un gioco offensivo e si basa sulla solidità difensiva. Vi ricorda qualcuno? E’ ancora presto per dirlo. Ma quando guardate una nostra partita – purtroppo senza pubblico a causa della pandemia – chiudete per un attimo gli occhi e cercate di ascoltare le voci che arrivano da bordo campo. Le urla di Mister Conte si sentono sempre. Ora che noi non possiamo essere sugli spalti, è lui il dodicesimo uomo in campo.

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