Dal ritorno in Champions a quell’addio mai digerito. Ma oggi Luciano va applaudito!


26 maggio 2019. L’Inter batte l’Empoli in una partita folle, emblema calcistico del termine “montagne russe” e si qualifica per la seconda volta consecutiva in Champions League. Quattro giorni dopo, il club annuncia di aver sollevato dall’incarico Luciano Spalletti, a Milano dalla stagione precedente. L’indomani, Antonio Conte è il nuovo allenatore.

Sono proprio le due annate contiane quelle in cui il tecnico di Certaldo decide di riposare, incassando puntualmente dall’Inter l’ingaggio che gli spetta fino all’estate scorsa. Solo allora dice sì al Napoli. Le proposte, in quel lasso di tempo, non mancano, compresa quella del Milan che, esonerato Giampaolo, vorrebbe proprio Luciano come nuova guida. Non si arriva ad un accordo per la transazione economica con l’Inter. Spalletti, infatti, vorrebbe che il club nerazzurro gli versasse in anticipo il totale di quanto gli spetta: importo al quale aggiungere il nuovo ingaggio dal Milan. Marotta, ovviamente, dice no. Chiaro sintomo di un finale – quello in nerazzurro – mai digerito. Ci arriveremo.

L’inizio di un circolo virtuoso

Se è vero che per coltivare speranze di competitività a lungo termine serve giocare stabilmente in Champions League, ed è vero, possiamo considerare il biennio di Spalletti in nerazzurro come l’inizio di un circolo virtuoso. Con il ritorno nell’Europa che conta, unito al lavoro di sponsorship e valorizzazione del marchio compiuto dal gruppo Suning, i ricavi dell’Inter si impennano, ma soprattutto il club diventa nuovamente credibile.

Non per la vittoria, vero, quello succederà solo con Conte alla guida e già dal primo anno. Però Spalletti riesce a riportare l’Inter nelle prime quattro dopo un mercato discutibile e soprattutto a seguito di stagioni nefaste per il club. Dal 2011-12 in poi si passa per Ranieri, Stramaccioni, Mazzarri, Mancini, De Boer e Pioli. La Beneamata si piazza quarta solo una volta: con l’attuale ct campione d’Europa. Il problema è che all’epoca quella posizione non vale la Champions.

Spalletti trova un’Inter confusionaria, reduce dalla folle e comica (per gli altri) stagione precedente e le riconsegna stabilità. Parte alla grande come Mancini, e proprio come Mancini non riesce a sfuggire alla consueta crisi di risultati invernale. Ma ha il merito di riuscire a risollevarsi da marzo in poi, mantenendosi in lotta per un posto Champions e centrandolo il 20 maggio 2018 a Roma, contro la Lazio dell’attuale tecnico nerazzurro.

Meriti e demeriti: Brozovic, Skriniar, Nainggolan e…carattere

Nella prima stagione il lavoro è quasi impeccabile, considerato il materiale a disposizione. Oltre al succitato, fondamentale ritorno in Champions, Spalletti è inoltre protagonista di una delle intuizioni che ne hanno sempre caratterizzato la carriera e che ancora oggi fa le fortune dell’Inter: dopo Perrotta e Nainggolan trequartisti assaltatori, dopo Totti falso nove, ecco Brozovic spostato regista.

Fino a quel momento il croato era stato impiegato dai vari tecnici susseguitisi ad Appiano come mezzala o trequartista, senza mai riuscire a trovare continuità: per questo, l’Inter si decide a cederlo nel mercato invernale. Il 30 gennaio 2018, Marcelo è ormai pronto a partire in direzione Siviglia: Spalletti dice “fermi tutti!”. Resta in nerazzurro e 11 giorni dopo vive il punto più basso della sua esperienza a Milano: contro il Bologna viene sostituito e riceve i fischi assordanti di San Siro. Risponde con un ironico e risentito applauso. Trascorre un mese esatto, c’è Inter-Napoli (sì, proprio Inter-Napoli): i nerazzurri sono in crisi, i partenopei in piena lotta scudetto (è l’anno dei 91 punti di Sarri) e a Brozovic viene cucita addosso la nuova posizione. Gioca una grandissima partita in cabina di regia e quella cabina non la abbandona più, diventandone padrone indiscusso. Il resto è storia.

Quel 2017-18 è pure la prima, straordinaria stagione di Skriniar all’Inter, un altro che continua a fare le fortune del club e sul cui adattamento immediato alla nuova realtà, Luciano Spalletti, non può non avere dei meriti. Nella primavera 2018 probabilmente si vede la sua migliore Inter, quella in cui Cancelo e Rafinha innalzano il tasso qualitativo. Ed è pure l’annata in cui, come successo con Dzeko l’anno precedente a Roma, il centravanti della sua squadra riesce a vivere la miglior annata in termini realizzativi: 29 gol per Icardi.

Ecco, la parabola dell’attaccante argentino in quei due anni è un po’ l’iperbole dell’avventura di Spalletti in nerazzurro. Ad una prima stagione entusiasmante segue una seconda caratterizzata da un’involuzione. Al tecnico si chiede di migliorare la stagione precedente e non lo si fa a caso: in estate ha chiesto e ottenuto Nainggolan, sacrificando Zaniolo e regalandolo di fatto alla Roma. L’esperienza del belga a Milano è da dimenticare: è il primo grande fallimento del tecnico in nerazzurro. Ma, in generale, Spalletti mostra un chiaro nervosismo già dalla prima giornata, quando l’Inter cade a Reggio Emilia.

L’inquietudine e l’atteggiamento perennemente sospettoso prenderanno il posto della freschezza e della bella Inter vista l’anno precedente. Il caso Icardi contribuirà in maniera decisiva. Per parlare della questione servirebbe un capitolo a parte, ma l’opinione di chi scrive è che le responsabilità dell’accaduto non siano da attribuire né a Spalletti, né alla società. Rimane solo una parte in causa, fate voi. Fatto sta che il polverone incide sulla stagione interista, ma la nave va in porto: ancora quarto posto. Ma se l’anno prima era stato vissuto con un urlo festante, questa volta è un sospiro di sollievo.

È la stagione in cui si manifestano i limiti caratteriali del tecnico, quelli in base ai quali Marotta convincerà Zhang a cambiare guida tecnica per l’anno successivo, per inseguire e conquistare uno Scudetto atteso da troppo tempo.

L’addio mai digerito

Proprio dall’arrivo di Marotta, datato dicembre 2018, Spalletti manifesta crescente nervosismo. L’annuncio ufficiale arriva pochi giorni dopo l’eliminazione dalla Champions ai gironi: l’amministratore delegato – rispondendo a una domanda sull’operato del tecnico – afferma che “la società lo supporta”. L’allenatore non la prende bene, affermando in conferenza stampa che non ha bisogno del supporto di nessuno. È la prima crepa di un rapporto mai decollato, è la prima testimonianza dell’atteggiamento sospettoso e infastidito con il quale Spalletti accoglie l’arrivo del dirigente fin dal primo giorno. Forse non aveva tutti i torti, forse Marotta aveva già deciso che l’allenatore per la stagione successiva sarebbe stato Conte a prescindere: di certo, la predisposizione dell’attuale tecnico del Napoli nei suoi confronti non è stata esattamente conciliante.

E ritorniamo da dove abbiamo cominciato, cioè dall’addio. È risaputo che Spalletti non l’abbia presa affatto bene: ritiene di aver centrato per due volte consecutive l’obiettivo stagionale e che, con quella rosa, non avrebbe potuto fare di meglio. Ritiene che, se il mercato estivo 2019 di cui ha usufruito Conte fosse stato destinato a lui, sarebbe stato in grado di riportare lo Scudetto a Milano proprio come il leccese. Ed è molto rammaricato del fatto che l’incremento dei ricavi di cui è stato in parte artefice sia stato funzionale a permettere all’Inter di pagarlo senza allenare per due anni. L’addio è stato decisamente indigesto, con la dirigenza è calato il gelo.

A Milano stava benissimo, non è un caso che la moglie Tamara e la figlia Matilde continuino a vivere al Bosco Verticale, mentre uno dei due figli (Samuele) lavora in un noto studio legale di diritto internazionale. Per tutti questi motivi, la partita di domenica sarà molto sentita da parte sua, contro quell’Inter amata e odiata. Luciano si aspetta di ricevere il giusto riconoscimento per il lavoro svolto sulla panchina nerazzurra e oggi San Siro deve riconoscergli che siamo tornati in alto grazie a lui. E per questo Luciano va applaudito.

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