L’ANALISI – Solito copione: coraggio, occasioni, zero gol e beffa finale. I motivi


Partiamo da una premessa, ben impressa nella mente di tutti al calcio d’inizio ma che è bene ribadire: il Liverpool è più forte dell’Inter. Lo è tecnicamente, fisicamente, per esperienza, per valore della rosa, per capacità di comprendere i momenti della partita: lo è sotto tutti i punti di vista. A maggior ragione, la prestazione dell’Inter per 70 minuti ha stupito positivamente tutti noi. Quando giochi un primo tempo di fatto alla pari, rendendoti protagonista dell’occasione più clamorosa dei 45 minuti iniziali (con la traversa, maledetta traversa) di Calhanoglu, non puoi che andare all’intervallo soddisfatto e orgoglioso della tua squadra. Quando assisti ad un secondo tempo in cui riesci per larghi tratti ad assumere il predominio nei confronti di una big europea come il Liverpool, non puoi che applaudire questi ragazzi.

Alisson e Van Dijk costretti a spazzarla in diverse occasioni, il centrocampo dei Reds che fa fatica, Mané fermato da Skriniar a più riprese, Salah che sembra l’ombra di se stesso, Jota che non incide e all’intervallo viene sostituito da Firmino, Perisic e Dumfries che mettono in seria difficoltà Alexander-Arnold e Robertson costringendoli ad abbassare di diversi metri il loro raggio d’azione: segnali che la partita è stata preparata alla grande da Inzaghi. Il timore per la presenza di Vidal al posto di Barella viene rimpiazzato da un piacevole stupore per gli acuti del cileno che, anche a 34 anni, dimostra di avere ancora le ultime cartucce – quelle del grande giocatore – da sparare in serata del genere. E poi c’è un Calhanoglu che sfodera una grande prestazione, condita da dinamismo e la consueta qualità. Ma alla fine, cosa rimane? Nulla, assolutamente nulla: tante conclusioni verso la porta ma nessuna dentro lo specchio. Ma soprattutto, zero gol. E la solita beffa finale, che addirittura si sdoppia, fissando il risultato su un 2-0 di fatto impossibile da ribaltare in quel di Anfield.

Replay Real

Alzi la mano chi non ha pensato, nel momento di massima pressione dell’Inter e dell’assenza di finalizzazione, alla partita contro il Real Madrid (soprattutto quella dell’andata, proprio a San Siro). Il copione è incredibilmente simile ad entrambe le sfide con i Blancos: pallino del gioco in mano ai nerazzurri, tanto coraggio, ma ancora una volta manca la cosa più importante, ovvero quella maledetta palla che accarezza la rete avversaria. L’atteggiamento dell’Inter è stato lodevole: la squadra di Inzaghi non si è snaturata, ha accettato molto spesso anche l’uomo contro uomo, reggendo bene alle avanzate dei Reds e liberandosi della pressione, del tentativo di attuare il famoso gegenpressing che ha reso celebre Jurgen Klopp nel mondo.

Le occasioni buttate via, però, sono state nuovamente troppe. E così l’Inter, nelle due sfide al Real e in quella di ieri, ha collezionato la miseria di zero gol fatti. Il tiro di Lautaro da fuori, la traversa di Calhanoglu, i colpi di testa di Dumfries e Skriniar, ma poi ci sono anche le clamorose occasioni non culminate con un tiro: il cross di Perisic lungo un centimetro di troppo per arrivare a Lautaro, il passaggio di Dumfries verso Dzeko solo davanti ad Alisson intercettato provvidenzialmente (per il Liverpool) da Konate, le numerose rifiniture sbagliate dello stesso bosniaco in area di rigore, la palla di Sanchez verso il numero 9 sventata sul più bello dagli avversari. Tante, troppe scelte sbagliate, concettualmente o tecnicamente, per non pagarla nel finale.

Poi si può riflettere sullo sconforto che attanaglia i nerazzurri nei momenti in cui subiscono gol e non se lo aspettano: é successo ad ottobre contro la Lazio, è successo con il Real, è successo nel derby di pochi giorni fa, è successo ancora una volta ieri. La partita dell’Inter, di fatto, si è conclusa sul colpo di testa vincente di Firmino: vero che il contraccolpo di passare in svantaggio dopo aver condotto a larghi tratti la partita e aver messo seriamente in difficoltà una delle squadre più forti al mondo è comprensibile, ma la maturazione dei nerazzurri passa anche da questa capacità psicologica di rialzarsi nonostante gli eventi avversi. Ma soprattutto, passa dalla finalizzazione. E qui bisogna aprire il tema, il problema attacco.

Dzeko-Lautaro troppo poco: la coppia non funziona?

C’è una discrasia evidente nei rendimenti di alcuni reparti nerazzurri. Ieri, per esempio, la difesa e il centrocampo hanno sfoderato una prestazione super. Certo, Bastoni ha sbagliato in marcatura su Firmino in occasione del primo gol, ma è stata l’unica disattenzione all’interno di una partita pressoché perfetta. La verità è che questa squadra deve costruire tantissime occcasioni per fare un gol mentre, dall’altra parte, non deve concedere neppure un tiro in porta, altrimenti – con tutta probabilità – si troverà sotto nel punteggio. Il portiere e gli attaccanti, infatti, non riescono quasi mai ad allinearsi sul rendimento elevato degli altri due reparti. Ieri Handanovic avrebbe potuto fare di più sul primo gol, per esempio, ma è mancato il colpo di reni, così come sulla seconda rete dei Reds ha difettato di reattività.

Il tema attacco è particolarmente complesso. Ci limitiamo però a snocciolare alcuni numeri: l’Inter ha perso 5 partite stagionali (Real, Lazio, Real, Milan, Liverpool) e in 4 di queste l’attacco era composto dalla coppia Lautaro-Dzeko. In occasione delle vittorie di peso, contro Roma e Napoli per esempio, il tandem d’attacco era formato rispettivamente da Dzeko-Correa e Lautaro-Correa. In Supercoppa, invece, la vittoria è arrivata con la coppia Correa-Sanchez. La sensazione è che quello formato dall’argentino e dal bosniaco sia un duo offensivo assortito non benissimo: le prestazioni di entrambi ne risentono. Il Toro è costretto a fare il terminale offensivo mentre Dzeko svaria, venendo così depotenziato. E il numero 9, che le sta giocando tutte per 95 minuti, accusa il colpo in termini di lucidità: ieri ha collezionato 16 palle perse.

Il lavoro di Dzeko per la squadra è assolutamente rispettabile, ma all’Inter serve una prima punta in età adeguata, che possa prendere per mano la squadra, finalizzare con regolarità, farla salire quando è in difficoltà ed essere sempre nel vivo del gioco. Qualcosa che il bosniaco, visti i 36 anni incombenti, non può fare, se non a sprazzi: è fisiologico, non è un insulto. Se in Serie A riesce ancora ad incidere, in Champions lo fa contro avversari come Sheriff o Shakhtar, ma in serate del genere – a questi ritmi forsennati – Edin fa evidentemente fatica. Poi, magari, riesce anche a piazzare il gol perché, seppur sul viale del tramonto, è pur sempre un grande attaccante: ma non può essere la soluzione a lungo termine.

Lautaro sta vivendo un momento di grande appannamento, è innegabile: alcune sue prove sono state sconfortanti. Non si tratta solo di carenza di gol. Tuttavia, ci permettiamo di notare che, per un attaccante che attraversa evidentemente un blocco psicologico prima che tecnico legato all’assenza di reti, sapere di essere sostituito sistematicamente intorno al 65′ o 70′ non è il massimo. Significa perdere ulteriormente fiducia e centralità, essere ricoperto di pressioni aggiuntive. In alcune situazioni, quando fa fatica come ieri, sostituire Dzeko non è un delitto. Ciò detto, Lautaro è stato designato dall’Inter come uno dei leader tecnici della squadra: questo status gli è stato riconosciuto anche economicamente ed ha il dovere di fare di più. Non possiamo nascondere che si tratti di una delle più grandi delusioni, se non la più grande, di questo inizio di 2022. Tuttavia, Simone Inzaghi dovrà essere bravo a trovare il modo di valorizzare i suoi attaccanti. In estate si faranno tutte le valutazioni del caso, ma da qui a maggio c’è uno Scudetto e una Coppa Italia alle quali puntare, e bisogna farlo con questi uomini. Bisogna fare di tutto per trarre il massimo da ognuno di loro.

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