LUTTO – Addio a Luis Suarez, il regista della Grande Inter

Lutto nel mondo del calcio. È mancato all’età di 88 anni Luis Suarez. Tra i protagonisti della Grande Inter del presidente Angelo Moratti a di mister Helenio Herrera, è considerato uno dei migliori registi del XX secolo. Dopo il calcio, tra le altre cose, ha anche ricoperto un ruolo nella dirigenza nerazzurra.

Il cordoglio dell’Inter

FC Internazionale Milano, il suo presidente Steven Zhang, il Vice President Javier Zanetti, gli Amministratori Delegati Alessandro Antonello e Giuseppe Marotta, l’allenatore Simone Inzaghi e il suo staff, i calciatori e tutto il mondo Inter, si uniscono al cordoglio per la scomparsa di Luis Suarez e, nel ricordarlo, abbracciano i suoi familiari.

Sono migliaia i giocatori che hanno vestito la maglia dell’Inter. Chi per centinaia di partite, chi soltanto per qualche minuto. Tutti hanno un posto nella memoria del tifosi, hanno in qualche modo segnato un pezzetto di storia del Club. 115 anni di storia sono tanti: ci sono partite, vittorie, sconfitte, serate leggendarie, notti difficili. Le storie e i personaggi, gli intrecci. Poi ci sono le stelle fisse, quelle che hanno illuminato in maniera talmente brillante il percorso nerazzurro da essere lì, per sempre: luccicanti come lo sono stati, da calciatori e da personaggi. Unici, inimitabili, indimenticabili.

Luis Suárez Miramontes: impossibile fare classifiche, difficile anche racchiuderlo in una descrizione. Avesse giocato ai giorni nostri, i social sarebbero intasati dai video delle sue giocate. Ce li immaginiamo i Tik Tok con i suoi lanci millimetrici, i reel con i suoi dribbling. In un mondo che attribuisce etichette e facili esaltazioni, Luisito, fin da ragazzo, è stato il “maestro”. Perché indossava la dieci, giocava a testa alta, usava il destro e il sinistro. Vedeva il gioco, aveva passo e uno stile unico. Fin dalle sue prime uscite con il Deportivo (lui nato proprio a La Coruna, il 2 maggio 1935) aveva incantato. Figlio di un macellaio, fratello di due calciatori. A 18 anni per la prima volta scese in campo con la squadra della sua città, contro il Barcellona. Vinsero i blaugrana 6-1, ma gli occhi e i commenti furono tutti per lui. László Kubala, formidabile centravanti ungherese, che poi diventerà suo compagno di squadra, lo disse subito, al termine della partita: “Questo ragazzo farà molta strada”.

La serietà nella vita pari a quella in campo, il suo incedere andava di pari passo con una visione di gioco unica e totale. Era l’architetto del gioco: una definizione perfetta, firmata da uno dei più grandi di sempre, Alfredo Di Stefano. Quando il percorso di Luisito si legò a quello di Helenio Herrera, la strada per il successo iniziò a spianarsi. Vittorie e trionfi con il Barcellona, l’acclamazione a livello europeo con la conquista nel 1960 del Pallone d’Oro: il primo, e finora unico, spagnolo a conquistarlo. Come anche il primo spagnolo a militare nel campionato italiano: arrivò all’Inter nel 1961, per volere di Angelo Moratti. Una trattativa così importante che con l’incasso della sua cessione il Barcellona completò i lavori di costruzione dello stadio, il Camp Nou.

Herrera e Suarez, per portare l’Inter sul tetto d’Italia, d’Europa, del Mondo. I giornali, 20 anni prima di incollare il soprannome a Diego Armando Maradona, lo ribattezzarono “Pibe de Oro”. Herrera, nel giorno della presentazione in nerazzurro, lo etichettò così: “Ha la velocità di Bicicli, il palleggio di Corso, la forza di Lindskog, il dribbling di Sivori, il tiro di Altafini”. Il calciatore perfetto, insomma: regista e trequartista, assistman e finalizzatore.

Ha letteralmente architettato i trionfi nerazzurri: lui, il 10 della Grande Inter, assieme ai compagni formò quella filastrocca unica e leggendaria di nomi che conquistarono 3 Scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali. C’è uno schema classico che davvero oggi riempirebbe tutte le bacheche di appassionati, esperti, studiosi: Suarez dribblava, poi quasi con leggerezza, lanciava. Il pallone arrivava sempre, 40 metri più avanti, prima che tutti potessero capire. E quel pallone era lì, si adagiava preciso per la corsa del compagno, la maggior parte delle volte Giacinto Facchetti.

L’amicizia con Armando Picchi, il legame con tutto il mondo nerazzurro, la voglia di trasmettere la propria idea di calcio anche nelle vesti di allenatore e commissario tecnico. Al servizio dell’Inter, si è seduto per tre volte sulla panchina nerazzurra, poi nelle vesti di osservatore e dirigente ha firmato, tra gli altri, l’arrivo di Ronaldo.

Salutare Luisito ci lascia una malinconia profonda: la nostalgia del suo calcio perfetto e inimitabile, che di fatto ha ispirato generazioni, si unisce al ricordo di un calciatore unico e di un grande, grandissimo interista. Ci mancherà, perché come predicava Helenio Herrera, “Se non sapete cosa fare, date palla a Suarez”.

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