Cazzullo: “I cori ‘chi non salta è juventino’ non ci devono offendere, bensì ringalluzzire”

Sul Corriere della Sera alla posta di Aldo Cazzullo un lettore scrive:
“Caro Aldo, ho visto il video che gira molto sui social: l’intero stadio di San Siro che mi dà del porco in quanto juventino. E da juventino ci sono rimasto male. I cori da stadio sono appunto da stadio. Fuori da lì diventano
insulti”.

La risposta di Cazzullo:
“Non ci resti male. Il video cui lei si riferisce mostra i milanisti che saltano sulle note di «Sarà perché ti amo» dei Ricchi e Poveri. Sono milanisti; ma non se la prendono con i rivali dell’Inter. Né con i napoletani. Né con i romanisti. Se la prendono con noi juventini perché, bene o male, la Juventus mantiene la sua centralità nel calcio italiano, anche se in bacheca ha solo due Coppe dei Campioni contro le sette del Milan (di cui cinque nell’era Berlusconi) e le tre dell’Inter.
La Juventus sta attraversando un momento difficile, e non solo per una questione di cicli. Dopo nove scudetti di fila, rifiatare era inevitabile. L’ingaggio di Ronaldo – come Beppe Marotta aveva intuito – si è rivelato un errore, che ha creato uno strascico di questioni non tutte risolte. La Juve è molto amata e molto odiata, come tutti i vincenti. Certo, era la squadra di Gianni Agnelli, il re senza corona d’Italia, e questo aiutava. Ma dietro la Juventus non c’erano soltanto un uomo e una famiglia; c’era la più grande industria italiana, con il suo peso politico ed economico, e c’era una città. Gli immigrati dal Sud diventavano juventini, e la Juve comprava il palermitano Furino, il catanese Anastasi, il leccese Causio, il sardo Virdis. Ma la borghesia torinese, che non amava la Fiat, tifava Toro. Il grande Toro degli anni 70, che aveva in Pulici e Graziani la più forte coppia d’attacco nella storia del calcio italiano (Rossi e Bettega si trovarono insieme al massimo livello solo nel 1978 in Argentina con la maglia azzurra); ma anche il Torino degli anni 80, con Dossena e Junior che a centrocampo avevano sempre la palla loro, e persero la grande occasione dello scudetto del 1985 arrivando secondi dietro il Verona di Bagnoli (un vero juventino non odia il Toro, anzi, mio padre che negli anni 40 tifava Juve perché era più debole quando cadde l’aereo a Superga pianse). Ora la Fiat è diventata un’altra cosa, e la città di Torino pure. Non mi pare possibile che la Juventus sia in vendita. Certo il futuro riserva incognite. Per questo i cori di scherno dei milanisti non ci devono offendere, bensì ringalluzzire”.

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