Marotta: “Quando arrivai all’Inter i tifosi mi vedevano come un intruso. San Siro? È un’icona ma bisogna guardare avanti”


L’amministratore delegato dell’Inter Giuseppe Marotta è stato ospite al “Wolf – Storie che contano”, il podcast condotto da Fedez. Gazzetta dello Sport ha dato le anticipazioni dell’intervista che andrà in onda nella giornata di domani.

Marotta ha iniziato ripercorrendo il suo arrivo nel club di proprietà della famiglia Zhang, nel dicembre 2018.
“Quando sono arrivato all’Inter – ha ammesso – forse la tifoseria mi ha visto come un intruso o peggio, visto che provenivo dalla Juve. Nello sport, però, sono i risultati quelli che contano e, per merito e per fortuna, da quando sono arrivato all’Inter, sono arrivati buoni risultati. Quindi ora credo di essere simpatico a buona parte degli interisti. Il mio futuro? Quando chiuderò la mia esperienza all’Inter voglio continuare a dedicarmi allo sport, ma in una dimensione diversa. Vorrei occuparmi dello sport come fenomeno sociale. In Italia non solo rispetto agli Usa, ma anche rispetto agli altri paesi europei, siamo molto indietro sia sulle strutture, sia sulla pratica dello sport di base. Voglio mettere a disposizione la mia esperienza perché i bambini e i ragazzi che vogliono giocare a calcio, e non solo, possano farlo gratuitamente in strutture adeguate”.

Marotta ha poi parlato di San Siro, dal progetto del nuovo stadio dell’Inter e delle difficoltà che ci sono in Italia per costruire nuovi impianti.
“Lo stadio è la casa dell’appartenenza calcistica, il luogo dei sentimenti, la storia. Ma gli stadi devono essere anche una fonte di reddito per le squadre. Anche in questo il calcio italiano è enormemente indietro rispetto ai principali campionati europei. Gli stadi devono essere strutture moderne e molti stadi italiani, invece, sono vetusti. San Siro va rispettato come icona, perché è stato un contenitore di grandissime emozioni, di passioni, rappresenta la storia. Ma bisogna guardare avanti. Purtroppo, gli interventi strutturali sugli stadi in Italia sono regolamentati da un’infinita serie di livelli burocratici e amministrativi, tanto che diventa impossibile realizzare qualsiasi cosa. Questa situazione ha fatto sì che le due società -Inter e Milan – abbiano cercato altre strade”.

Dall’alto della sua esperienza, l’a.d. nerazzurro ha poi affrontato uno dei temi più dibattuti del momento, la crisi del nostro pallone.
“Il sistema dello sport professionistico italiano, anzitutto il calcio, risente della situazione economica del Paese. Le grandi aziende sono sempre meno e sempre meno capitali privati che possano essere messi a disposizione dello sport. Una volta c’erano grandi industriali che sostenevano il calcio e non solo. Quindi è stato necessario trovare altre strade e capitali al di fuori dei confini nazionali. Oggi la presenza di capitali stranieri nel calcio italiano è molto forte, fortunatamente. Pensiamo a Milano, le cui due squadre sono di proprietà una cinese, l’altra statunitense, e di ciò dobbiamo essere grati. Il calcio italiano inoltre sconta un forte gap di produttività rispetto agli altri campionati europei: i diritti televisivi -che costituiscono oltre il 70% dei ricavi delle squadre- per la Serie A valgono circa 1,3 miliardi, per la Premier League 4 miliardi”.

“I nostri vivavi? C’è stata un’involuzione notevole, dovuta anche al fatto che una volta il calcio si giocava ovunque: dai cortili agli oratori. Inoltre, il sistema scolastico italiano non incentiva la pratica sportiva, anzi. Non abbiamo una realtà come quella americana, dove lo sport dalle high school ai college è una componente fondamentale del percorso formativo dei ragazzi, anche attraverso le borse di studio sportive. Altro grande problema è la mancanza di strutture per lo sport di base e giovanile”.

Infine la sua considerazione sull’arrivo nel 2018 di CR7 alla Juventus.
“L’acquisto di Cristiano Ronaldo da parte della Juve non ha portato i risultati sperati. Diciamo che il suo apporto non ha corrisposto alle grandissime aspettative che c’erano per il suo arrivo”.

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