In un’intervista rilasciata a la Repubblica, Henrikh Mkhitaryan si apre come raramente accade. Nel ritiro americano dell’Inter, tra lavoro e riflessioni, l’armeno racconta il proprio approccio al gruppo: «Dico quello che penso, senza cercare di piacere. Quando parlo, è solo per il bene della squadra. L’importante è essere chiari e diretti».
Con l’arrivo in panchina di Cristian Chivu, il gruppo nerazzurro ha voltato pagina dopo l’addio di Simone Inzaghi: «Ha portato idee nuove. Ci supporta mentalmente e tatticamente. La sua impronta si è vista dal primo giorno». Con l’ex tecnico solo un saluto privato: «Niente social, ha fatto la sua scelta. Capitolo chiuso».
La ferita della finale di Champions a Monaco è ancora aperta: «La cicatrice resta, è stata una brutta sconfitta. Ma non dimentichiamo il percorso. Ora dobbiamo rialzarci». La prima vittoria post-finale è arrivata contro l’Urawa Red Diamonds, nel torneo americano: «Serve per ricostruire fiducia».
Sempre lucido e diretto, Mkhitaryan torna su una frase diventata celebre: «L’Inter ingiocabile? Non ho detto che siamo ingiocabili sempre, ma che lo siamo stati in alcune partite, per l’atteggiamento che abbiamo messo in campo. Certo che lo direi di nuovo, lo penso. Se poi qualcuno mi prende in giro, non me ne frega niente».
Il centrocampista ha già chiaro il futuro: «Dopo l’Inter smetto. Non voglio abbassare il livello e non mi interessa giocare in Arabia o tornare in Armenia. Amo il calcio per il gioco, non per i soldi».
Fuori dal campo, coltiva interessi: legge molto («Sto finendo l’autobiografia di Elon Musk»), gioca a scacchi online con De Vrij e parla con i giovani: «Devono dimostrare ogni giorno di voler crescere».
Infine, un desiderio personale: «Vorrei che i miei figli dicano di me che sono stato un buon padre e una brava persona. L’esempio conta più delle parole».
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