L’Inter saluta troppo presto il Mondiale per Club. La sconfitta contro il Fluminense (2-0), più che una semplice eliminazione, è l’amaro epilogo di una stagione che sembrava destinata a scrivere un’altra pagina gloriosa. E invece finisce così: senza titoli, con tanti interrogativi e poche certezze.
La domanda che rimbalza da Charlotte a Milano è tanto amara quanto pungente: “Com’è possibile che questa sia la stessa Inter arrivata in finale di Champions League?” Una domanda legittima. Perché questa non è più la stessa Inter. O meglio: è lei nei nomi, ma non nello spirito, nell’intensità, nella testa.
Il tracollo comincia da lontano
La verità è che qualcosa si è rotto ben prima del fischio d’inizio del Mondiale. Le crepe erano lì, evidenti, sin dal crollo in campionato e dall’uscita dalla Champions. L’arrivo di Chivu al posto di Inzaghi ha dato un’identità nuova, ma ancora tutta da costruire. Troppe cose da sistemare in troppo poco tempo: impossibile non pagarne il prezzo.
Il ko con il Fluminense è l’ultimo capitolo di un romanzo diventato, pagina dopo pagina, un racconto di occasioni perse. Non è stata solo colpa degli episodi o dei singoli. È mancata la mentalità, è mancato il fuoco dentro.
Approcci sbagliati e blackout ripetuti
Nel calcio, partire male spesso significa perdere. E l’Inter ha un problema serio: non entra in partita. In quattro gare del Mondiale, tre volte è andata sotto nel primo tempo. Sempre in ritardo, sempre in salita. Anche contro il Flu, basta un’incertezza difensiva – anzi, tre in fila – per mandare in gol Cano dopo pochi minuti.
Il copione è noto: inizio molle, sveglia tardiva. Col Monterrey e gli Urawa si era riusciti a rimediare. Contro una squadra organizzata come il Fluminense, no. E lì si è vista la differenza tra chi ha fame e chi ha solo la pancia piena di rimpianti.
Stanchi, svuotati, prevedibili
L’Inter è arrivata a fine stagione senza energie, svuotata mentalmente e fisicamente. Il caldo, il campo secco? Scuse. Anche i brasiliani giocavano sullo stesso terreno. La verità è che i nerazzurri sono sulle gambe da mesi. Un finale di stagione logorante, senza fiato e senza idee.
Il turnover di Inzaghi non ha funzionato, Chivu ha provato a dare una scossa ma è arrivato troppo tardi. Anche contro il Fluminense, il risveglio nel secondo tempo è servito solo ad alimentare l’illusione. L’Inter ha corso di più, ma senza lucidità. Quando serve il colpo da grande squadra, i muscoli tremano e la testa è altrove.
Chivu, nuovo ciclo ma partenza in salita
Chivu ci ha provato: ha mescolato le carte, ha osato il doppio trequartista, ha portato idee nuove. Ma è difficile seminare se il terreno è arido e il tempo è poco. L’ex leggenda nerazzurra ha raccolto una squadra ferita, spaesata, arrabbiata. E l’ha portata in battaglia senza le armi giuste.
Il Mondiale è stato, se vogliamo, un laboratorio. Ma forse era meglio iniziare la costruzione altrove, non sotto i riflettori del mondo. Lo stesso Chivu l’ha detto: “Non è mai facile arrivare in questo momento, ma prendiamoci le cose buone”. Giusto. Ma le cose buone, oggi, si faticano a vedere.
Nervosismo e spogliatoio diviso
A rendere il tutto ancora più inquietante, il clima nello spogliatoio. Le parole di Lautaro dopo il match sono il manifesto del malessere interno: “Chi non vuole restare, può andarsene”. Il bersaglio, secondo Marotta, è Calhanoglu, tentato dal Galatasaray. Ma la bomba è scoppiata. E il nervosismo di Lautaro, che da capitano prova a tenere alta la bandiera, è lo specchio di un gruppo non più compatto.
I big che non ci sono più
Se Lautaro è stato l’ultimo ad arrendersi (due gol nel torneo, un palo contro il Flu), tanti altri hanno deluso. Thuram è irriconoscibile, De Vrij e Darmian dormono, Sommer non salva più. I senatori non reggono, i giovani non esplodono. Serve ricostruire. Subito. Con lucidità, senza nostalgia.
Ora basta processi. Serve una nuova Inter.
L’uscita di scena dal Mondiale per Club chiude un ciclo. Fine. È stato bello, ma ora bisogna guardare avanti. Non con rabbia, ma con coraggio. I tifosi, quelli veri, non voltano le spalle. Ma chiedono risposte. Perché l’Inter non può permettersi un altro anno così.
È il momento di scegliere chi resta e chi no. Di puntare su chi ha ancora fame, non solo ricordi. Di costruire un gruppo nuovo, guidato da un’idea chiara. Cristian Chivu avrà bisogno di tempo, certo. Ma non ce n’è molto. Perché l’Inter, quella vera, deve tornare a essere l’Inter. E in fretta.
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