«Ma le sembra normale? No, perché se a lei sembra normale, allora alzo le mani».
Scusi, ma a cosa si riferisce?
«Ai calciatori che si abbracciano, si baciano, a ogni gol si ammucchiano uno sull’altro nel centro dell’area».
Be’, il calcio funziona così.
«No scusi, il calcio funzionava così. Poi siamo stati travolti dalla pandemia, e allora tutto è cambiato».
Stare dietro a don Antonio Mazzi è difficile: lui indica un punto lontano e tu guardi il suo dito, e ti senti fesso quando se ne accorge e con pazienza ti spiega una cosa che ritiene ovvia.
«Quei calciatori si abbracciano e si urlano in faccia la loro gioia mentre lo stadio è deserto, per paura che i tifosi si abbraccino e si urlino in faccia la loro gioia. C’è un arbitro in campo? E allora faccia valere la sua autorità, impedisca quell’esultanza, che è vietata ai tifosi, altrimenti…».
Altrimenti?
«Altrimenti è l’ennesima frustrazione che i più sfortunati devono ingoiare. Il Covid è stato l’onda di uno tsunami, ma al solito ci sono stati i sommersi e i salvati. Io, per paradosso, le uniche cose che aprirei allo stadio sono le curve. Se c’è qualcuno che ha bisogno di andare allo stadio sono quelli che sfogavano le loro frustrazioni, le loro pene e pure le loro energie col tifo. Anche questa volta è stato tolto tanto a chi aveva poco. Quelli che pagano il conto più alto sono solo i meno fortunati».
Percepisce più sofferenza da quando è iniziata la pandemia?
«Ma porca miseria, certo che c’è più sofferenza. È inevitabile. Pensi ai giovani con difficoltà familiari alle spalle: vogliamo fare l’elenco di quello che gli è stato tolto? Non ci vuole molto: il virus gli ha tolto tutto. Niente scuola, per molti l’unico momento educativo, sociale nel senso sano del termine. Chiusi in case piccole, spesso affollate e litigiose, dove sei costretto a respirare un’atmosfera pesante. Niente stadi, niente discoteche, lavoro e altre occasioni. Zero: niente di niente».
Qual è la soluzione?
«Sa a 90 anni qual è l’unica cosa che ho ben chiara? Che se prima di fare qualcosa avessi aspettato di essere assolutamente certo, di non avere dubbi o la paura di sbagliare, non avrei combinato nulla. Dobbiamo partire da un punto fermo: ci sono tanti ragazzi che sono paralizzati da questa situazione, stiamo sprecando quel ben di Dio che hanno dentro, ogni emozione diventa frustrazione. Allora, almeno, dimostriamo che le regole valgono per tutti. Se loro non si possono abbracciare in curva, allora nemmeno lo possono fare i giocatori, che sono giovani come loro, ma ricchi e fortunati. Tanto più che registriamo già dei contagi
in serie A. È una questione etica, gli arbitri si impegnino perché questo non accada. Chi è svantaggiato non deve pensare che tutti i divieti a cui, a causa del Covid, è sottoposto, siano solo l’ennesima punizione ingiusta, e non una misura necessaria. E poi le pare che io, interista da sempre, per non arrabbiarmi guardando le scene di esultanza debba sperare che la mia squadra quando gioca faccia 0 a 0?».
Sarebbe chiederle troppo…
«Certo che è troppo. Un’ultima cosa: non cambi le mie parole altrimenti la scomunico!».
(FONTE: Settimanale Oggi)
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