Severgnini: “Conte è un bravo allenatore, perchè può diventare un grande allenatore”


Antonio Conte è un bravo allenatore. Può diventare un grande allenatore? Vediamo. Un bravo allenatore valorizza i campioni che si ritrova — o porta — in squadra. Un cattivo allenatore li spreca, li svende, li trascura. E un grande allenatore? Un grande allenatore prende un campione e lo fa diventare un campionissimo, consolida i talenti, rilancia carriere inventando ruoli e posizioni. Antonio Conte ha rischiato, da questo punto di vista. Le continue lamentele sulla rosa — «Ho preso un prodotto preconfezionato», quando non era vero — hanno preoccupato la società e i tifosi, che non capivano. Poi è accaduto qualcosa. Cosa, non si sa. L’impressione è che le difficoltà della società — recessione globale, cessione in vista, mercato chiuso — abbiano convinto l’allenatore a fare di necessità virtù: e le virtù sono venute fuori. Comunque vada, Conte ha consacrato Lukaku, il centravanti-totem che tutti vorrebbero; ha puntato su due giovani fuoriclasse nazionali, Bastoni e Barella, che all’Inter, in altre stagioni, avrebbero potuto spegnersi (e magari essere ceduti, per riaccendersi altrove). Ha disciplinato Brozovic (in campo, almeno), trasformandolo in un atleta generoso. Ha modellato Lautaro, che rischiava di restare un incompiuto — un Recoba dell’area di rigore — ed è diventato il centravanti dell’Argentina. Ha recuperato Skriniar. Sembrava impossibile che un difensore così, attento e robusto, corteggiato da mezza Europa, non trovasse posto in squadra. Lo ha trovato. Un’altra soddisfazione di tanti interisti — inattesa, perciò ancora più gradita — è rappresentata dalla parabola di Perisic ed Eriksen. Vedere il primo disposto a giocare terzino contro la Lazio — e giocare bene, alle prese con un cliente difficile come Lazzari — è stato sorprendente. La competenza diffusa dei bar — che non è da sottovalutare — s’è spostata sulle chat, per questioni di pandemia e non solo. Qualunque interista competente — di sguardi, di facce, di umanità — lo aveva capito: Perisic, a 32 anni, era tormentato, ma a un passo dal traguardo. Vicecampione del mondo con la Croazia, campione d’Europa con il Bayern: certe cose non succedono per caso. Stesso sollievo — una forma sofisticata di gioia, come sappiamo — nel ritrovare Eriksen. Certi passaggi non s’inventano: può permetterseli un calciatore che ha brillato per anni in Premier League. Le incertezze si vedevano nello sguardo, prima ancora che nei tocchi o nella corsa: incertezze nordiche, cautele silenziose, forse il timore di aver imboccato la discesa della carriera. Poi Conte ha spiegato, un giorno: «Eriksen è troppo timido». Aggettivo illuminante. Eriksen nelle ultime partite è apparso, soprattutto, rincuorato. Merito di Conte o di quella punizione al Milan (ah, quando serve all’Inter uno che tiri calci d’angolo e punizioni!)? Non importa. Come regista di riserva o mezzala titolare, uno così non può non giocare.

Un bravo allenatore può anche sbagliare, naturalmente: Vidal, purtroppo, per adesso non è quello che tutti speravamo. Ma un grande allenatore non molla: ed è giusto che Antonio Conte provi fino alla fine. Così, è stato bello sentirlo ricordare Matias Vecino e il suo rientro imminente. Il ragazzo dell’Uruguay ci ha portato in Champions (due volte!), e queste cose contano. A un bravo allenatore basta avere carattere. Un grande allenatore deve sapere diventare un personaggio. Perché il calcio è anche teatro, per fortuna. Herrera, Rocco, Trapattoni e Liedholm sono stati personaggi. Più recentemente, Mourinho, Allegri e Ancelotti (ruoli diversi, certo). Un bravo allenatore è appassionato, e — anche se non dovrebbe — ogni tanto esagera. Un grande allenatore ammette di aver sbagliato. Nessun insulto poteva giustificare il gestaccio allo Juventus Stadium in diretta Rai. Antonio Conte lo ha capito e ha chiesto scusa. Andrea Agnelli ora dovrebbe fare lo stesso: anche per i presidenti la grandezza passa per queste cose. Infine, fondamentale: un bravo allenatore, alla fine, può anche perdere. Un grande allenatore deve vincere. Non basta valorizzare i campioni, motivare lo spogliatoio, reggere alla pressione, saper fare di necessità virtù, diventare un personaggio, avere orgoglio e dignità. Bisogna vincere. È la regola assoluta dello sport, quello che lo rende splendidamente semplice. Antonio Conte ha vinto (con la Juventus tra il 2012 e il 2014, con il Chelsea nel 2017 e nel 2018) o ci è arrivato vicino (con la Nazionale nel 2016, con l’Inter nel 2020). Ma non abbastanza, per passare di categoria. L’uomo se ne rende conto: la furia, la determinazione e la passione che mette nell’avventura nerazzurra lo dimostrano. Hector Cuper è stato un bravo, fascinoso allenatore: ma non ha vinto, e la grandezza l’ha vista soltanto passare. Ci sono squadre dove si può transitare, dimenticare e venire dimenticati. Non l’Inter, che lascia un segno indelebile. Antonio Conte deve capirlo. Anzi, lo ha già capito”.
(Beppe Severgnini, Corriere della Sera)

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