L’ANALISI – Dell’Inter vincente non c’è più nulla. Questa squadra è allo sbando: tutti i motivi


Altro che uscire dalla crisi, altro che due vittorie consecutive, altro che incontro risolutore ad Appiano Gentile dopo il Bayern Monaco. Questa squadra continua a non seguire un filo logico ed è un problema che parte dall’estate, si alimenta irrimediabilmente con la gestione dell’allenatore e si riverbera sul campo in maniera limpida, senza appelli. L’Inter ha perso la terza partita di campionato su sette disputate: negli ultimi dieci anni non era mai successo. Magari, però, il problema fossero solo i risultati. Il vero dramma sta nel modo in cui questo gruppo prepara e di conseguenza gioca le partite (malissimo), nella psicologia dei calciatori e nel rendimento che ovviamente va incontro ad una decrescita progressiva, generalizzata e inesorabile.

L’Udinese ha dominato l’Inter sotto tutti i punti di vista ed è la quarta volta, almeno, che succede in questa stagione: passi per il Bayern, il discorso va applicato anche ai precedenti con Lazio e Milan che, come i friulani, hanno devastato i nerazzurri rifilando loro tre gol all’interno di una più generale lezione di calcio. L’Inter perde tanto, ma soprattutto merita di perdere. Il livello è troppo basso per pensare, però, che ci siano solo questioni tattiche o tecniche da rifinire, rodaggi da completare e automatismi da perfezionare: questa squadra è sinceramente allo sbando e allora lo spettro deve divenire più ampio, il focus deve essere posto sulle modalità gestionali della rosa.

Una scelta mai vista prima

Nel gioco del calcio è una rarità assistere ad una sostituzione per scelta tecnica nel primo tempo. Tuttavia, succede e può succedere. Con l’Udinese, però, c’è stata una prima volta: non solo il cambio è stato doppio, ma non è stata neppure una scelta tecnica. È stata la scelta della paura. La fobia di Simone Inzaghi nei confronti delle ammonizioni è completamente deflagrata, diventando incontrollabile e conducendo – come in ogni fobia che si rispetti – a comportamenti bizzarri. L’allenatore ha sostituito Bastoni e Mkhitaryan “rei” di essersi sporcati dell’ammonizione. E non ci prenda in giro, Simone Inzaghi, dicendo che non tenevano gli avversari, perché i problemi non si risolvono certo con Gagliardini (ancora una volta preferito ad Asllani, sì, ancora una volta) e Dimarco, autori di pessime prove.

Non contento, però, l’allenatore si è superato. Dopo un primo tempo orribile, l’Inter è scesa in campo con più dignità nella seconda frazione rendendo la gara quasi equilibrata, almeno per un periodo di gioco. Fino a quando? Ma fino ai cambi, ovvio. Dzeko era uno dei pochi pericoli per la difesa avversaria ed è stato sostituito da un Correa sempre più irritante e fastidioso da osservare con la gloriosa maglia dell’Inter. E passi, perché il cambio scontato è ormai un habituée. Poi però Inzaghi esagera. Quando tutti si aspettano Gosens, Bellanova o un giocatore di qualità come Asllani per provare a vincerla, lui sceglie D’Ambrosio al posto di Darmian e poi spreca l’ultimo cambio con De Vrij per Acerbi.

L’Inter ha subito il secondo gol per colpa dello stesso De Vrij, è vero, ma concentrarsi su quello sarebbe sparare davvero sulla croce rossa. Preferiamo sottolineare un dato folle: riguarda i ben quattro assetti difensivi cambiati all’interno di una sola partita. I terzetti sono stati composti da: Skriniar-Acerbi-Bastoni per 31 minuti, Skriniar-Acerbi-Dimarco per 36 minuti, D’Ambrosio-Skriniar-Acerbi per 12 minuti e D’Ambrosio-De Vrij-Skriniar per 11 minuti. Se non è confusione questa, cosa lo è? E poi, per quali risultati? Viene da pensare che gli stessi difensori non beneficino affatto di scelte del genere, soprattutto considerando che parliamo del reparto più in difficoltà da inizio stagione. E qui si apre un altro capitolo.

Chi è migliorato con Inzaghi allenatore?

La domanda è volutamente retorica, anzi a parere di chi scrive sta accadendo esattamente l’opposto. Nella gestione Inzaghi, infatti, tutti i perni dell’Inter scudettata non hanno migliorato il proprio rendimento anzi, oggi come oggi, lo hanno peggiorato e si sono svalutati, di conseguenza, pure sul mercato. Alessandro Bastoni era un difensore in rampa di lancio sotto Conte, si intravedeva un futuro luminoso e oggi invece non è neppure un titolare fisso, visto che viene alternato spesso e volentieri con Dimarco; quando gioca spesso non convince e ieri Inzaghi ci ha messo il carico da novanta sostituendolo dopo 28 minuti, con ovvia e naturale crisi di nervi da parte del giocatore in panchina. Marcelo Brozovic, perno di questa squadra fin dagli anni di Spalletti, in questa stagione sembra essere ritornato quel giocatore altalenante e umorale che avevamo imparato a conoscere nelle sue prime stagioni nerazzurre. I gol segnati con Milan e Torino non influiscono in questo senso, perché le prestazioni complessive non sono sufficienti. Discorso simile per Nicolò Barella: bellissimi i due gol con Cremonese e Udinese, ma non sarà mica questo il livello di un centrocampista che ha potenzialità ben superiori?

Discorso a parte forse andrebbe fatto per Milan Skriniar, monumentale nelle sue stagioni all’Inter e irriconoscibile fino a questo momento. Un calo troppo netto per non pensare che la vergognosa gestione estiva da parte di proprietà e dirigenza abbiano inevitabilmente influito. Ma d’altronde, quando metti sul mercato per le solite ragioni di bilancio il tuo difensore (o forse giocatore) migliore, tratti con il Psg per mesi, dichiari pubblicamente che “è più facile sostituire un difensore che un attaccante“, poi lo mantieni in rosa ma il giocatore adesso è in scadenza, non puoi aspettarti che non sia successo niente. E non puoi neppure pretendere che ci rimanga, all’Inter. Perché i giocatori forti, nell’incompetenza e nella precarietà a tutti i livelli, non rimangono. E fanno benone.

Persistono poi altri equivoci tattici radicati nella struttura di questa squadra. Uno su tutti: Lautaro e Dzeko insieme non hanno funzionato per tutto l’anno scorso e non funzioneranno mai: perché non provare qualcosa di diverso, anche con una sola punta? A perderci è soprattutto Lautaro, uno dei pochi giocatori in grado di fare la differenza nella rosa.

Il mercato?

E poi il mercato. Sono arrivati Onana, Bellanova, Asllani, Mkhitaryan, Lukaku e si può aggiungere pure Gosens, visto che lo scorso anno non si è praticamente mai visto. Bene. Il camerunese è stato relegato a riserva ancora prima di arrivare ad Appiano Gentile, mentre adesso gioca la Champions League con Handanovic in campionato (ah, sul terzo gol dell’Udinese meglio stendere un velo pietoso…) in un’alternanza che non ha né capo né coda. Bellanova e Asllani, arrivati in estate, sono gli unici due giocatori che fino a questo momento sono stati esclusi dalle rotazioni preparate a tavolino da Inzaghi. Mkhitaryan è un giocatore over 30 e quindi era prevedibile che il tecnico gli desse fiducia, ma sta facendo male e con l’Udinese è stato cambiato dopo soli 28 minuti. Gosens è un altro grande equivoco: impiegato da titolare in Champions come Onana (oltre che alla prima giornata a Lecce), in Friuli l’allenatore ha preferito inserire D’Ambrosio pur di non puntare su di lui. E allora resta solo Lukaku: la speranza a cui aggrapparsi in un contesto così arido, in scelte così povere, in un ambiente così depresso. Per evitare un crollo verticale che oggi sembra davvero probabile.

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