Nel mondo del calcio, la rivalità è da sempre parte integrante del gioco. Gli sfottò, le provocazioni e le gufate sono quasi tradizioni non scritte, che rendono più vivo e appassionante il tifo. Tuttavia, quando questa passione supera i limiti del rispetto umano e sfocia in odio personale, il confine tra tifo e inciviltà viene tragicamente oltrepassato.
In vista della finale di Champions League tra Inter e Paris Saint-Germain del prossimo 31 maggio a Monaco di Baviera, il clima sui social si è surriscaldato. Le solite battute su chi “ha già vinto” o i desideri che “vada tutto storto” sono parte del folklore calcistico. Ma ciò che sta accadendo intorno alla figura di Luis Enrique, allenatore del PSG, ha superato ogni soglia accettabile.
Molti utenti, purtroppo, hanno tirato in ballo la tragedia personale dell’allenatore spagnolo: la morte della piccola Xana, sua figlia, scomparsa nel 2019 a soli 9 anni a causa di un osteosarcoma. Alcuni messaggi sui social strumentalizzano il suo dolore, esortando Enrique a vincere “per sua figlia”, ma con l’unico scopo reale di veder perdere l’Inter. Usare una tragedia personale per alimentare l’odio sportivo è una deriva morale preoccupante, che nulla ha a che fare con il calcio o con il tifo.
Il rispetto per il dolore umano deve essere un confine invalicabile. Il calcio unisce, emoziona e divide sportivamente, ma non può diventare un pretesto per calpestare la dignità altrui. Serve più umanità, anche e soprattutto dietro a una tastiera.
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