È stata un’Inter memorabile quella di martedì scorso. E forse basta il risultato per dire tutto: 4-3, come la semifinale del secolo, una partita destinata a finire nella leggenda della storia nerazzurra. Si è arreso il Barcellona, ricco di talento; si è arreso Yamal, il ragazzo che segnerà il calcio mondiale nei prossimi anni, agli eroi (sportivi, s’intende): il coraggio e la resistenza di Lautaro e la rimonta segnata da Acerbi, la forza di Thuram e i miracoli di Sommer, con il romanzo della riserva Frattesi che chiude uno spettacolo indimenticabile.
L’Inter come Athena: strategia e coraggio per una finale memorabile
È un trionfo che appartiene al mondo nerazzurro e a tutto il calcio italiano, grazie soprattutto all’Inter, una squadra che ha sempre cercato di bilanciare la forza fisica con la strategia e l’intelligenza tattica. Proprio come Athena, la dea greca della saggezza, della strategia e della giustizia. L’Inter ha sempre avuto una mentalità difensiva e una forte gestione del gioco: è questo che le ha permesso di non mollare mai il colpo, e di riuscire a sconfiggere un Barcellona affamato.
Arrivando alla seconda finale di Champions in tre stagioni, ora Inzaghi va a Monaco di Baviera per prendersela, questa Champions: il Paris Saint-Germain non è superiore all’Inter. Anzi, dopo aver visto l’impresa di San Siro, ci viene il sospetto che possa essere il contrario. Si rassegnino i detrattori del nostro calcio: il club non avrà la forza economica dei club di Premier o del Real e del Bayern, ma ora sul tetto d’Europa ci siamo anche noi, grazie a un altro tipo di forza: la mentalità.
Il club come una famiglia: la vera forza della squadra di Inzaghi
L’Inter è arrivata in finale non solo perché ha una grande squadra costruita bene e allenata meglio, ma grazie alla sua identità, che passa dalla società, al tecnico, ai giocatori, fino ai magazzinieri. È stato svolto un lavoro sublime. In questo percorso ci sono stati errori — solo chi non fa, non sbaglia — ma la notte di martedì ha premiato la bontà delle scelte compiute dai nerazzurri. Il club ha avuto il merito di mettere assieme un gruppo di grandi giocatori ricorrendo più alla competenza che al denaro.
Il monte ingaggi dell’Inter era il più basso tra le otto arrivate ai quarti di finale della Champions: Çalhanoğlu, Thuram, Mkhitaryan sono stati presi a zero; altri sono arrivati a costo relativamente ridotto, a cominciare da Lautaro. Inzaghi è stato straordinario, un condottiero unico nel costruire una squadra organizzata alla perfezione dal punto di vista tattico, nel valorizzare calciatori che nessuno pensava potessero arrivare a questo livello (Dimarco su tutti, ma anche Acerbi, l’uomo del destino). In questa stagione i nerazzurri hanno provato a restare in corsa su ogni fronte: in campionato rimanendo attaccati a un grande Napoli, e anche in Coppa Italia. Alla fine hanno pagato la stanchezza, ma il trionfo sul Barcellona dice che ne è valsa la pena.
L’emblema dell’Inter: non mollare mai
L’abbiamo sempre visto, fin dalla partita contro il Bayern Monaco: appena Kane firma l’1-0 che riapre la gara e l’accesso alla semifinale, vediamo subito Pavard e Barella incitare i compagni, perché non è finita finché non è finita. E sappiamo cosa è successo dopo, neanche dieci minuti dopo quel momento in cui San Siro si è zittito. L’Inter ha la fortuna di vivere queste notti magiche a casa sua, nella sua fortezza, alla “Scala del Calcio”, che porta con sé dovunque vada. È veramente difficile spiegare San Siro a chi non lo ha vissuto: come lo spieghi a chi non lo sente come casa? Un luogo dove sono passate mille generazioni.
La casualità ha voluto che proprio quel martedì 6 maggio, a San Siro, nei minuti di recupero del secondo tempo, a casa loro, non hanno mollato. E questo “non mollare” ha un nome e un cognome: Francesco Acerbi, autore del 3-3 che riapre tutto e che fa ricominciare a battere il cuore del suo stadio, diventato ormai l’esempio dell’emblema dell’Inter. Ma cosa ci faceva un difensore centrale di 37 anni, che non aveva mai segnato in Champions League, nell’area di rigore avversaria? Francesco, per trovarsi lì, passa la palla alla sua vita travagliata, fatta di litigi col padre, di problemi con l’alcol e di due tumori. Gli arriva lì, nel punto giusto al momento giusto, mettendo un punto al suo emblema e rimettendo le carte in tavola.
L’Inter torna al suo posto, pronta a riscattarsi
Tutti ricordiamo la finale di tre anni fa, l’1-0 del Manchester City che manda in terapia la squadra di Inzaghi: un altro sogno spezzato, un’altra finale persa, nessun tifoso riesce a guardare il replay di quella partita. Ma l’Inter è abituata a perdere, e da lì infatti è rinata. Da quella sera, ha portato a casa lo scudetto della seconda stella, prima dei cugini milanesi, in casa loro, con il gol proprio di Acerbi che ha aperto quella splendida sera di festa. Ora torna in finale, una finale che sarà l’ultima chiamata per molti giocatori, per poter alzare il trofeo: sogno di ogni bambino che vede nel proprio futuro il calcio.
Riecheggia nelle strade di Milano la profezia di Guardiola, che disse a Inzaghi: “Deve pensare che allena la seconda squadra d’Europa, una squadra forte. Tornerà in finale.” Bene, ora sei tornata là, Inter, dove meriti di stare. Non saranno le coincidenze di tre anni fa o le profezie calcistiche a decidere se perderai o no. Sei cresciuta, e hai dimostrato chi sei ad avversari più forti di te. L’Inter non è per tutti: è solo per chi sa rischiare, per chi non vuole mai mollare, per chi non ha mai mollato. Il grosso è stato fatto, ora bisogna presentarsi a Monaco il 31 maggio per giocarsi tutto. Andrà come deve andare. Bisogna solo dire grazie: grazie per le notti magiche e per i sogni che fai vivere a tutte le generazioni di interisti che ti guardano.
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