Una serata così la Serie A non la viveva da anni. Lo scudetto si deciderà negli ultimi 90 minuti – o forse anche oltre – con Inter e Napoli pronte a giocarsi tutto: i nerazzurri in trasferta a Como, i partenopei in casa contro il Cagliari. Ma quella di oggi non è soltanto la sfida finale tra le due protagoniste degli ultimi tre campionati. È anche lo specchio di due modelli opposti di governance sportiva. Da un lato, l’Inter, oggi controllata dal fondo d’investimento americano Oaktree, subentrato di recente alla proprietà cinese. Dall’altro, il Napoli, guidato da oltre vent’anni da Aurelio De Laurentiis, che ha ricostruito la squadra dopo il fallimento e la ripartenza dalla Serie C. Due visioni distinte del calcio, oggi rappresentative dei poli opposti del sistema italiano – e non solo.
Bilanci, i numeri
Oggi l’Inter si presenta in buona salute. Dopo aver superato la crisi legata alla pandemia – che colpì nel pieno di un ciclo di forti investimenti – e al progressivo disimpegno della famiglia Zhang (che ha lasciato 573 milioni di perdite in quattro anni), la stagione 2023/24 ha segnato una svolta. Il club ha raggiunto un record di fatturato con 473 milioni e ha contenuto il deficit a soli 36 milioni.
L’entusiasmante percorso in Champions League, con la finale contro il PSG in programma il 31 maggio, ha fruttato circa 200 milioni di euro tra premi UEFA e incassi da stadio. Una spinta decisiva per chiudere il bilancio in attivo e superare quota 500 milioni di fatturato. La vittoria nella finale aggiungerebbe altri 6,5 milioni, più 4-5 milioni in caso di partecipazione alla Supercoppa UEFA.
Per l’Inter, la vera partita comincia però con la stagione 2026/27. In quell’anno scadrà il bond da 415 milioni: Oaktree ne ha già riacquistato una piccola parte e sta lavorando al rifinanziamento per evitare che diventi un debito a breve termine, influenzando negativamente l’indice di liquidità. Altro obiettivo chiave sarà il riequilibrio del patrimonio netto, ancora negativo per 66 milioni al 30 giugno 2024. Un risultato pesante, ma in parte attutito dalla possibilità – concessa durante la pandemia – di rinviare per cinque anni la copertura delle perdite accumulate nel 2021-22 (pari a 341 milioni, in buona parte già ripianate).
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