Rigori, le liste di Luis Enrique e Simone Inzaghi se la finale si deciderà dal dischetto

Meglio evitarli, i rigori. Soprattutto se in porta c’è Donnarumma. Per l’Inter sarebbe un po’ come, per dirla alla Lucio Battisti, “guidare come un pazzo a fari spenti nella notte”. I numeri parlano chiaro: in sette serie di rigori giocate, sei volte Gigio è uscito vincitore, braccia al cielo. E chi era dall’altra parte, spesso in lacrime. Come dimenticare Wembley 2021, finale degli Europei, Italia campione.

Ma se proprio non si potrà evitare l’epilogo dagli undici metri, tanto vale prepararsi. Emotivamente, certo. Ma anche tecnicamente. Su questo Inzaghi è stato chiaro: i rigori si sono provati ad Appiano, eccome. E basta con la “lotteria”: calciare (e parare) un rigore è una competenza, non un colpo di fortuna.

Rigori, le liste

L’Inter ha i suoi tiratori. Il primo della lista è scontato: Hakan Calhanoglu, il professore della disciplina. In carriera ha trasformato 49 rigori su 55, in Serie A è una sentenza: 19 su 20. Dietro di lui c’è Asllani, cresciuto nella fiducia e possibile jolly da introdurre anche solo per tirare. Poi Mkhitaryan, 12 centri su 15, seppur fermo da un po’ (ultimo gol nel novembre 2021). Occhi su Taremi: 59 rigori segnati, 10 errori, esperienza da vendere. E infine Lautaro: il rapporto coi penalty è tormentato, ma ha fame di rivincita dopo Madrid. Ai Mondiali, Scaloni gli affidò il quinto rigore sia contro l’Olanda che in finale — segno di fiducia. E non dimentichiamo Acerbi, Zielinski, Zalewski. E soprattutto Sommer, ultimo baluardo.

Il PSG? Più prevedibile, ma non meno pericoloso. L’ultimo precedente è fresco: gli ottavi di Champions contro il Liverpool, vinti proprio ai rigori. Donnarumma, manco a dirlo, protagonista. Ma non era solo. Il primo nome è Vitinha, che ha sbagliato una sola volta su 13 tentativi — proprio contro l’Arsenal. Contro i Reds segnarono anche Gonçalo Ramos (ottima arma dalla panchina) e Dembélé, oltre al giovanissimo Doué, glaciale a 19 anni. Più incerto invece Kvaratskhelia: otto centri e quattro errori, due proprio in Champions. Non c’è due senza tre?

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