Il prossimo step: essere grandi anche nei finali di partita. Come riuscirci?


La vittoria di ieri è stata fondamentale, oltre che foriera di tanti messaggi positivi per Inzaghi e i suoi ragazzi. Tuttavia, il giorno dopo è necessario soffermarsi anche su cosa non è andato bene nel pomeriggio di San Siro. Si è ripetuto, per esempio, il trend che vede l’Inter calare clamorosamente dopo il 70′: era successo contro il Real Madrid in Champions League e contro Lazio, Juventus e Milan in Serie A. Contro Blancos, biancocelesti e bianconeri era arrivato almeno un gol subito nel finale, mentre contro i rossoneri la squadra di Inzaghi era riuscita a limitare i danni, mantenendo il pareggio.

Ciò che colpisce di più è che, in tutte le partite citate, fino a quel momento l’Inter era stata superiore ai rivali (le statistiche di ieri sono impietose in questo senso), mostrando un gran calcio e trovandosi tuttavia a boccheggiare nei minuti finali. Ieri, anche grazie a un po’ di fortuna sul colpo di testa di Mario Rui e al grossolano errore di Mertens, la squadra di Inzaghi è riuscita comunque a portare a casa i tre punti. Tuttavia, siamo sicuri che oggi il tecnico – ad Appiano Gentile – si sia soffermato nell’analizzare come sia possibile passare da un possibile 4-1 al rischio di un beffardo 3-3.

Cambi, testa o stanchezza?

In molti ieri hanno ritenuto i cambi di Simone Inzaghi dannosi per la tenuta della squadra. Ciò che è stato rimproverato al tecnico nerazzurro, anche nelle trasmissioni televisive, è stato aver sostituito Barella e Perisic per inserire Gagliardini e Satriano. Certo, l’impegno di mercoledì in Champions è pesato nella scelta, ma è altrettanto certo che Inzaghi si attendesse di più dai giocatori subentrati. Da quel momento l’Inter non è riuscita più a tenere palla e, probabilmente, l’ingresso di un giocatore come Sensi avrebbe favorito il mantenimento del possesso. Ma si tratta di un trend troppo evidente per pensare sia sempre determinato dalle sostituzioni: sarebbe guardare il dito e non la luna.

Detto che le alternative, in particolare a centrocampo, sono qualitativamente molto distanti da titolari come Barella e Brozovic, bisogna considerare che l’Inter è una squadra che dà il suo meglio quando va al massimo dell’intensità: è una caratteristica che si porta dietro anche dal biennio di Conte. Quando i ritmi sono alti fa meglio, nonostante debba ancora limare delle problematiche di equilibrio nelle due fasi (ieri sono state concesse alcune ripartenze troppo naif al Napoli, anche in situazione di vantaggio). Per questo, appare fisiologico un calo nel finale, visti i ritmi forsennati e i chilometri che vengono percorsi per lunghi tratti di incontro. Il prossimo step dell’Inter potrebbe dunque essere quello di imparare a gestirsi, ma per farlo c’è bisogno di un ingrediente fondamentale: il cinismo sotto porta. Solo così i nerazzurri possono provare a congelare il risultato e ad uccidere sportivamente gli avversari, risparmiando forze e diventando un diesel, come era successo nel girone di ritorno dello scorso anno.

Ieri, inoltre, è anche subentrato il fattore psicologico. Dopo tante delusioni nei minuti finali, è evidentemente affiorata un po’ di paura di non riuscire a farcela nemmeno questa volta, specie se subisci il gol del 3-2 per un’ingenuità di un giocatore esperto come Dzeko e ti ritrovi ad affrontare ben 8 minuti di recupero contro un avversario di spessore, imbattuto in Serie A fino a quel momento. L’Inter ha stretto i denti, non è stata impeccabile nelle due clamorose occasioni concesse al Napoli nell’extra-time ma è riuscita a farcela. Come l’anno scorso, ha vinto il primo big match stagionale contro i partenopei e lo ha fatto soffrendo nei minuti finali, nonostante quella si sia trattato – a differenza di quanto successo nel dicembre 2020 – di una partita per lunghi tratti dominata. La speranza è che questo possa essere di buon auspicio, infondendo consapevolezza di potercela fare anche quando la palla pesa di più e tutti guardano l’orologio, sperando che i minuti passino più in fretta.

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