Caro Conte, i “sapientoni” forse non avevano tutti i torti


“Ai sapientoni dico che ho sempre lavorato con creature appena nate, non così solide”. Così Antonio Conte parlava all’inizio dello scorso anno, riferendosi a chi lo etichettava come un allenatore da campionato e non da Champions League. Da allora, però, il tecnico leccese non ha fatto nulla per sbugiardare tali malelingue. Infatti, per ben due anni consecutivi, non è riuscito a raggiungere gli ottavi di finale, e quest’anno è arrivato addirittura quarto, precludendosi la possibilità di una possibile cavalcata in Europa League. Cosa che, nella sfortuna potrebbe rivelarsi, a posteriori, una fortuna qualora riuscisse a portare a casa lo scudetto, che, oltretutto, garantirebbe l’accesso alla prossima Champions in prima fascia.

Ma se estendiamo l’analisi del cammino europeo di Conte fino agli albori della sua carriera a grandi livelli (tra Juventus e Chelsea), notiamo che su 36 partite di Champions, ha vinto 12 volte, 13 le ha pareggiate e 11 le ha perse. Proprio alla Juve fu autore di un autogol di cui ancora si fa ironia, etichettando la sua squadra come un ristorante da 10 euro, motivo per cui se ne andò a ritiro appena iniziato. Peccato poi che al suo successore, Max Allegri, è bastato cambiare un po’ l’arredamento (passando dal 3-5-2 al 4-3-1-2) per trasformarlo in un posto da élite.

Ebbene, nonostante tutto, anche ieri il tecnico nerazzurro ha avuto modo di scagliarsi contro la stampa con argomentazioni tutt’altro che signorili (“Vi do il fischietto e fate gli allenatori”). Ma forse, alla luce di questi insuccessi, dovrebbe iniziare a non sentirsi più come l’unico depositario di una verità assoluta di una materia, come il calcio, che di scientifico non ha nulla.

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