Moratti “Oggi vivo l’Inter diversamente. La Seconda Stella è molto vicina”


Massimo Moratti ha concesso una lunga intervista ad Alessandro Alciato per Radio Serie A.

Possiamo continuare a chiamarla presidente?
“Sono abituato. Mi fa piacere”.

Oggi chi è Massimo Moratti?
“E’ sempre lo stesso. Con i suoi interessi di lavoro, che sono i principali della mia vita. Non c’è più l’Inter, non c’è quell’adrenalina, quell’amore che sentivo sia come dovere che come passione. Però sono preso da tutte le altre attività, come la famiglia. Più si invecchia più diventa importante il fatto di stare in famiglia”.

Lei non sa riposare. Da dove nasce questo moto perpetuo?
“Dal dovere che abbiamo di portare avanti certe cose o cercare di aggiustarle. Ho la fortuna di avere in famiglia dei figli e dei nipoti molto bravi”.

Quanti medici fa arrabbiare ogni giorno?
“Faccio una vita abbastanza normale. Che i medici si arrabbino è una cosa abbastanza comune, non solo per me”.

Quante volte le capita di pensare all’Inter in generale?
“Sono due modi diversi di vivere l’Inter, quando eri presidente e adesso, sono proprio opposti. Quando sei responsabile sei preso dal senso del dovere e dalla passione. Quando sei tifosi sei libero anche di arrabbiarti con società e giocatori, di vivere diversamente la cosa, in maniera meno pesante. Comunque l’Inter è parte importante della vita della nostra famiglia. Chiunque si riferisce a noi pensa anche all’Inter. In qualsiasi discorso è inevitabile che si finisca a parlare anche dell’Inter”.

Più facile prima da presidente-tifoso o da tifoso e basta?
“Sembra strano ma era più facile prima. Prima era tutto più naturale, mi sentivo in un ambito mio. Adesso è più difficile giustificare la passione”.

Cosa sarebbe stata la sua vita senza l’Inter?
“Chi lo sa? L’Inter c’è sempre stata. Per noi la squadra di calcio è importante. Volevamo bene a questa squadra. Papà ci ha trascinati tutti in questa passione, ci ha fatto sentire l’Inter nostra. Per me è divenuto naturale fare quello che ho fatto per questo club”.

Quanto avrebbe perso l’Inter senza la famiglia Moratti?
“Questo non posso pensarlo, perché non so quali sarebbero state le alternative, magari qualcuno che ti faceva stravincere dalla mattina alla sera. Dal punti di vista di rapporto e affetto è stato qualcosa di bellissimo sia per me che per i tifosi. Può darsi che avrebbero potuto avere di meglio”.

In quale periodo nella storia dell’Inter lei ha smesso di essere il figlio di Angelo Moratti?
“Io sono sempre stato il figlio di mio padre. Ho sempre fatto tutto pensando anche a lui, con un affetto infinito nei suoi confronti. Papà ci aveva insegnato in da piccoli a vivere le nostre responsabilità”.

Il primo ricordo interista?
“E’ Benito Lorenzi che veniva a casa nostra in vacanza a trovarci. Io mi trovavo in un piccolo collegio in Svizzera e fu così gentile che mi venne a trovare. Tra le partite mi ricordo il derby che vincemmo. Lorenzi era l’idolo, poi pian piano ne vennero altri come Angelillo… Vivi sempre con l’idea del nuovo campione. Poi vennero gli eroi grande Inter, come Corso, e tutti quelli che mi sono capitati nella vita”.

Cosa cercava nei giocatori?
“Soprattutto la classe. Poi ho imparato che bisogna anche difendersi, quando presi Samuel lo capii”.

Il rimpianto più grande?
“Tantissimi. Mi meraviglio che la gente non si arrabbi pensando a me perché sono tanti. Il rimpianto non è legato all’errore ma più all’impossibilità di fare qualcosa. Come la solita storia di Cantonà. Poi ci sono Pirlo, allenatori che potevamo trattare meglio… Però nell’insieme tutto si fa per il bene della società e in quel momento non ti rendi conto dell’errore”.

Lei è il presidente del Triplete. Come si vive con questa immortalità sportiva?
“Non mi aspettavo che il Triplete fosse così importante. E’ importante perché non è facile vincerlo. Noi i tre trofei li abbiamo vinti solo nell’ultimo mese della stagione. Magari il campionato poteva essere vinto prima, invece abbiamo dovuto soffrire fino alla fine. E’ stata una cosa fantastica, una stagione preparata bene. Le squadre di Mancini e Mourinho erano fortissime, arrivavi sempre lì”.

Si aspettava di vedere Mourinho su un’altra panchina italiana?
“Sì, me l’aspettavo. Mi sembra adatto per la Roma e può essere un’esperienza interessante. La Roma ha un grande potenziale tutto da esprimere”.

Si aspettava Thiago Motta così bravo da allenatore?
“No, non mi aspettavo neanche che facesse l’allenatore. E’ sempre stato molto intelligente, molto pratico. E’ un allenatore bravissimo. Non solo il Bologna oggi vince ma gioca anche bene”.

Quanto è importante oggi il bel gioco?
“E’ importante per il pubblico, guai a farlo annoiare. Giocar bene è importantissimo. Lo scopo è valorizzare il calcio, quindi giocar bene e far divertire la gente. Per me è molto importante”.

Quale allenatore oggi le piace?
“Posso dire Thiago Motta. E certamente il nostro, Simone Inzaghi, bravissimo”.

Chi era il giocatore più pazzo dell’Inter del Triplete?
“Maicon, perché era tutta forza fisica e alla fine delle partite si lamentava perché il pubblico non sosteneva la squadra per tutti i novanta minuti. Una volta venne da me a parlare e io gli risposi: «Ringrazia che non sei vicino a me a vedere la partita perché ti avrei insultato». Capì quanto il pubblico dell’Inter fosse speciale”.

Qual è la cosa più bella che le ha dato l’Inter e cosa le ha tolto?
“Tolto niente. Mi ha regalato le emozioni, la sorpresa di un nuovo giocatore. Il regalo di avere un domani sempre interessante”.

Il difficile oggi è difendere queste emozioni?
“Quello che trovo naturale ma esagerato è l’aspetto economico, tutti a chiedersi se è costato tanto o poco. Giusto dare un valore alle cose, ma togli pa parte meravigliosa del calcio, il gesto sportivo. Stare a pensare al prezzo è un’abitudine sbagliata di affrontare uno sport come quello del calcio. Triste? E’ un modo di fare tutto aziendale. Io non ho mai considerato l’Inter come un’azienda, sbagliando. L’ho sempre considerata un’attività fortunata da poter seguire dove poter esprimere il massimo della generosità”.

Se lei l’avesse considerata come un’azienda, forse non sarebbero arrivate tutte quelle vittorie…
“Chi lo sa. Però uno lo fa per scelta e non per carattere”.

C’è una cosa che non rifarebbe tornando indietro?
“Ogni tanto mi vengono in mente delle cose. Non avrei mandato via dalla sera alla mattina il povero Simoni, mi ha dispiaciuto. Roberto Carlos, ma era una vendita obbligata. Pirlo, perché non ho trovato un allenatore che lo sostenesse. Ci sarebbero tante altre cose importati ma non mi vengono in mente”.

Non ha mai pensato di essere una persona troppo buona con i giocatori?
“E’ certamente un difetto, soprattutto perché c’erano giocatori che se ne approfittavano. Però chi se ne frega, non mi faceva certo soffrire. L’importante era che io e i miei giocatori ci capissimo, non importava se mi consideravano buono o troppo buono”.

Lei aveva un rapporto speciale con i giocatori.
“Sì. Non è che li vedessi spesso ma c’era molta fiducia. Contavo molto su di loro e la squadra lo sentiva”.

Cosa aveva visto in Recoba?
“La classe. Recoba era un fatto 100 percento calcistico. Tanta classe e potenza difficile da avere. Senza la pigrizia sarebbe stato fantastico, o forse no. Quando lo acquistai mi disse che alla prima partita farà cadere lo stadio, e così è stato. Era importante avere qualcuno che faceva qualcosa di diverso dagli altri, di bello da vedere. Un altro che sarebbe potuto diventare così forte era Kanu, però sfortunatamente dopo il problema al cuore gli allenatore avevano paura a farlo giocare”.

Di Ronaldo c’è qualcosa che non è ancora stata detto?
“Ronaldo lo conosciamo tutti. Molto intelligente, sveglio, con dei riflessi spaventosi. Da noi non ha avuto fortuna, ha vinto solo una Coppa Uefa ma avrebbe dovuto vincere molto di più, perché si fece male. Era una persona allegra, ma sapeva essere serio quando era il momento”.

Le è mai venuta voglia di ricomprare l’Inter?
“Sinceramente no. Ogni tanto penso a cosa farei. Quelli che ci sono oggi sono bravi e va bene così”.

C’è spazio nel calcio di oggi per uno come Moratti, grande tifoso ma senza maxi fondi alle spalle?
“Spazio per gente con questo atteggiamento c’è sempre. Bisogna capire se ha la potenza economica per portare avanti una squadra come l’Inter. In questo momento come famiglia è difficile seguirla”.

La cessione resta una ferita?
“No, tutt’altro. E’ stato un passaggio di responsabilità dopo tanti anni e penso sia stato il momento giusto”.

Cosa pensa della squadra di oggi?
“Fortissima in tutti i settori. Il portiere è bravissimo, la difesa è ottima. Abbiamo giocatori tutti buoni. L’importante era non fare errori sul mercato. Con la regola dei cinque cambi puoi gestire meglio, senza fare grandi turnover, c’è la possibilità di far giocare tutti”.

C’è un giocatore che segue con particolare attenzione?
“Beh, i centravanti. Lautaro ha proprio il carattere del centravanti dell’Inter, fa dei gol bellissimi. Poi c’è questo Thuram, interessante, mi ha sorpreso. Tutti i giocatori sono seri e bravissimi”.

Le piace Simone Inzaghi?
“Bravom, devo dire bravissimo. Tiene un profilo basso, la squadra gioca benissimo, sa tenere il gruppo. Non lo conosco personalmente ma è proprio bravi. E’ migliorato”.

E’ vero che siete stati vicini a Messi?
“E’ vero. Mi era capitato di vedere in televisione una partita dell’U19 argentina. C’era questo ragazzo che vinceva la partita da solo. Aveva classe, ma mi aveva impressionanto per il carattere coraggioso. C’erano dei giornalisti che mi chiedevano se comprassi Ronaldinho, io gli risposi che il fenomeno invece era quel ragazzino. Messi lo seppe e si mise in contatto con noi. Però era stato allevato e curato dal Barcellona, mi sembrava una cattiveria fare tutto di nascosto. Ogni anno mi mandava una maglietta, con me è sempre stato correttissimo. Come avrei immaginato Messi all’Inter? Dove lo mettevi stava bene, potevi fare Messi più altri dieci. Lo avevo visto quando ancora era un ragazzino, si vedeva già che era tanta roba”.

Quanto è vicina la Seconda Stella?
“Di Scudetto ne parliamo tranquillamente, per la Seconda Stella interviene la scaramanzia. Penso sia molto vicina”.

Cosa rappresenterebbe la Seconda Stella?
“Una continuità fantastica. Di campionato vinti bene”.

Trova ancora il modo di sognare?
“Guai a non farlo. Più gli anni passano, meno sogni si hanno a disposizione. Il passato ti aiuta a colorare le cose che vedi. Il calcio è una delle cose che ti distrare di più. Sognare a cosa può accadere nella prossima partita fa bene”.

C’è un sogno più grande che ci vuole raccontare?
“Faccio tanti sogni. E’ bella l’idea di avere una vita non solo di cose pratiche ma anche di sogni”.

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