C’è una linea sottile fra le rosicate e la premeditazione. Cara Inter, preparati ad un finale infuocato…


Da ormai tre giorni sembra di assistere al teatro dell’assurdo. E no, non si tratta soltanto delle polemiche social e delle bizzarre teorie portate avanti dai tifosi milanisti, ormai prede di quell’isteria collettiva che ha rinsaldato l’atavico legame con i tifosi juventini. Il sodalizio biancorossonero è ormai dichiarato: ognuno augura all’altro di vincere Scudetto e Coppa Italia. Quello, però, ci può stare. Sono le classiche rosicate che spesso e volentieri si addicono anche agli interisti e a qualsivoglia tifoseria (certo, a noi piace rimanere da soli perché da soli ci sentiamo più forti, non andiamo alla ricerca di discutibili amicizie…).

Ci sarebbe da reagire in maniera goliardica e sorridere, se non fosse che la faccenda è più seria e riguarda anche la deontologia giornalistica. Perché i mezzi di informazione, da martedì sera, non fanno altro che rinfocolare l’astio verso il mondo Inter e, nella maggior parte dei casi, alimentare a crearne dell’altro, con nuovi (assurdi) spunti. Si sa, la Beneamata è parecchio avversa a chi controlla l’informazione sportiva di questo Paese poiché, banalmente, non ha mai investito per indirizzarla. Tuttavia, se dopo la rete (giustamente) anullata a Bennacer abbiamo assistito alla messa in discussione del regolamento sul fuorigioco e alla rabbia che alcuni articoli trasudano, adesso siamo arrivati al paranormale, al paradosso. Dedicare due giorni di titoloni, editoriali e dibattiti ad una designazione arbitrale potrebbe essere il punto più basso della storia del giornalismo sportivo.

L’arbitro Sozza ha improvvisamente la colpa di essere nato a Milano, ma è una colpa circoscritta agli ultimi due giorni: il problema non era stato posto precedentemente, meno che mai nel momento in cui ha arbitrato il Milan, contro la Lazio, nella semifinale del 9 febbraio scorso (vinta, per la cronaca, 4-0 dai rossoneri). Basta dare un’occhiata ai giornali di oggi per rendersi conto di quanto il clima sia diventato avvelenato, di quanto sia grave che l’isteria tipica di un tifoso frustrato sia stata trasposta anche sulle tastiere di chi dovrebbe informare, analizzare, al di sopra delle parti. E ce n’è una, di queste parti, che da loro è chiaramente caldeggiata. Quando lo scenario sembra troppo folle, nel calcio come nella vita, c’è qualcosa che solitamente sfugge. Ecco, si tratta della vile premeditazione, del tentativo di riempire di pressione un giovane arbitro ancor prima che questo scenda in campo in una delle partite più importanti dell’anno, poiché ha la colpa di essere nato a Milano e sì, certo, è pronto a rovinarsi la carriera per favorire la squadra che, forse, un tempo simpatizzava (come se non ci fossero milanesi milanisti o, peggio, juventini). Con quale serenità Sozza arbitrerà Inter-Roma?

Vi ricordate Firenze?

Un tentativo che, d’altronde, ha visto la luce subito dopo la partita grazie al “signore” che siede sulla panchina milanista. Lo stesso signore che, quando allenava la Fiorentina, reclamò furiosamente per un rigore concesso all’Inter a causa di un fallo di mano da parte di Hugo. Il difensore viola aveva colpito la palla col polpastrello: sfortunato, certo, ma il signore riuscì a modificare l’anatomia del corpo umano, affermando che colpirla col polpastrello non è fallo di mano. Questa storia andò avanti per mesi, portata avanti dal solito signore che degli arbitri, si sa, non parla mai. Lui è al di sopra di queste frivole e volgari discussioni, secondo la narrazione comune. Vi ricordate cosa successe al ritorno, vero? Ultimo minuto, la palla sbatte sul petto di D’Ambrosio, Abisso prende un abbaglio e fischia calcio di rigore per la Fiorentina: lo chiamano dal Var per consentirgli di porre rimedio allo strafalcione, lui – accerchiato anche dal signore – conferma clamorosamente la decisione. Gol della Fiorentina, 3-3 finale. Ci si attende che il signore, così indignato per un fallo di polpastrello, ammetta che il rigore di petto non esiste, e invece l’anatomia del corpo umano cambia ancora. Ecco le sue dichiarazioni:

Certi falli di mano non li fischierei mai, ma li fischiano a tutti ed è giusto che lo abbiano concesso anche a noi“. E no, caro signore, il tentativo di ridurre un macroscopico e storico errore ad un vizio di regolamento è inaccettabile. Perché quello era petto, altro che mano, altro che polpastrello. In quell’occasione, dunque, il signore riuscì ad ottenere la sua immotivata compensazione: ad un rigore giusto per l’Inter all’andata corrispose un rigore senza senso per la Fiorentina al ritorno. Il dubbio che stia cercando di fare lo stesso, permettetecelo, si insinua eccome nelle nostre teste. Il fatto che abbia abbandonato l’intervista dopo la partita con le parole “ma dai su, ma dai su, va bene ok…” denota evidente nervosismo, certo, ma anche la volontà di rendere la cosa plateale, teatrale. E ritorniamo dove eravamo: al teatro dell’assurdo, che poi forse tanto assurdo non è. Cara Inter, in questo finale di stagione preparati al possibile e all’impossibile.

Si tratta, d’altronde, della nostra comfort zone: da soli, noi e Lei. Senza altri amici, senza ipocrisie, senza tristi tentativi di manipolare gli arbitri per arrivare dove forse, da soli, non si riesce.

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